Tassazione reddito di lavoro all’estero e relativo credito per le imposte estere

Tassazione reddito di lavoro all’estero e relativo credito per le imposte estere

Notizia pubblicata su MEMENTOPIU’ del 17 maggio 2021 da Federico Andreoli

Il caso sottoposto al giudizio della Cassazione

L’AE ricorre contro la sentenza della CTR Piemonte che aveva accolto le ragioni di un residente italiano dipendente di una società svizzera che aveva subito le imposte in Svizzera sulla propria remunerazione. Il contribuente aveva presentato la dichiarazione dei redditi in Italia includendo anche il reddito svizzero e aveva versato le imposte anche in Italia. Successivamente il contribuente aveva presentato istanza di rimborso (e impugnato il silenzio dell’AE) per tutte le imposte italiane, ritenendo che la remunerazione fosse imponibile solo in Svizzera in base all’art. 19 Convenzione tra Italia e Svizzera.Per comprendere il regime applicabile è necessario ricordare che il contribuente: (i) era residente a Novara (quindi non era inquadrabile come “lavoratore frontaliere”); e (ii) aveva soggiornato in Svizzera per 186 giorni (cioè per più della metà del periodo d’imposta – 183 giorni). Inoltre (iii) il datore di lavoro era una società svizzera (apparentemente una società privata, non un ente di diritto pubblico).
Il testo dell’Ordinanza appare molto sintetico e non è dato comprende come mai la CTR del Piemonte si sia (forse sorprendentemente) espressa a favore del contribuente e sancito il diritto al rimborso di tutte le imposte pagate in Italia. Tuttavia, è anche vero che per risolvere il caso di specie si devono applicare e coordinare tra loro diverse norme di difficile interpretazione: (i) per le norme impositive l’art. 3 c. 1 TUIR egli artt. 15 e 19 della Convenzione tra Italia e Svizzera; e (ii) per l’eliminazione della doppia imposizione l’art. 165 TUIR (e l’art. 23 c. 3 DPR 600/73) e l’art. 24 della Convenzione.
L’ordinanza è interessante proprio in quanto mette ordine nei principi e nelle norme applicabili.

Il diritto dell’Italia a tassare i redditi di lavoro dipendente svolto in Svizzera

In sintesi la condivisibile posizione della Cassazione è la seguente:

(1) In primo luogo, la Cassazione ricorda che ai sensi dell’art. 3 c. 1 TUIR (c.d. principio di tassazione su base mondiale), i soggetti residenti fiscalmente in Italia sono tenuti a pagare le imposte per i redditi ovunque prodotti. Quindi bene ha fatto il contribuente a includere nella dichiarazione dei redditi anche i compensi per lavoro dipendente percepiti in Svizzera per il lavoro ivi prestato. D’altra parte, non è raro che un soggetto che lavori e soggiorni all’estero, anche per la maggior parte del periodo d’imposta, non perda la residenza fiscale italiana per aver mantenuto in Italia il centro dei propri affari e interessi (anche familiari).

(2) In secondo luogo, la Cassazione affronta l’applicabilità dell’art. 19 Convenzione tra Italia e Svizzera che era stato invocata dal contribuente per affermare il suo diritto ad ottenere il rimborso di tutte le imposte pagate in Italia. Il rimborso sarebbe stato dovuto se la sua remunerazione fosse imponibile solamente in Svizzera. La Convenzione, firmata nel lontano 1976, accorpa nell’art. 19 le previsioni che il Modello di Convenzione OCSE disciplina nell’art. 18 (Pensioni) e nell’art. 19 (Funzioni Pubbliche). Lato Svizzera, l’art. 19 stabilisce che sono soggetti a tassazione solo in Svizzera i salari e le pensioni qualora:(a) siano pagate a cittadini elvetici, anche se residenti in Italia; e (b) il soggetto pagatore sia lo Stato svizzero o suoi enti pubblici o territoriali. La disposizione prevede quindi il diritto di tassazione esclusiva della Svizzera, e si pone come eccezione rispetto a quanto previsto dall’art. 15 della medesima Convenzione. Al riguardo, l’Ordinanza ha affermato che nel caso di specie non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 19.

(3) Esclusa l’applicazione dell’art. 19, la Cassazione ha giustamente rivolto l’attenzione all’art. 15 della Convenzione italo-svizzera. La disposizione, in linea con l’art. 15 del Modello di Convenzione OCSE, è di difficile interpretazione in quanto prevede un susseguirsi di eccezioni. In sintesi, per un residente italiano: (i) il par. 1, 1° periodo, dispone il principio generale secondo cui i redditi da lavoro dipendente percepiti da un residente italiano sono imponibili solo in Italia (tassazione esclusiva in Italia); (ii) il par.1,2° periodo, dispone una eccezione al principio generale: se il lavoro è prestato in Svizzera, allora i redditi sono tassati sia in Svizzera che in Italia (tassazione concorrente di entrambi gli Stati); e (iii) il paragrafo 2 contiene una eccezione alla eccezione: a certe condizioni i redditi sono tassati solo in Italia, anche se il lavoro è prestato in Svizzera (tassazione esclusiva in Italia). La ratio del par. 2 è che se il collegamento con il territorio svizzero è assai ridotto, allora l’Italia mantiene l’esclusivo diritto di tassazione.

La Cassazione ricorda efficacemente quali siano le condizioni imposte dal predetto par. 2: “le remunerazioni che un soggetto residente in Italia riceve in corrispettivo di una attività dipendente svolta in Svizzera sono imponibili soltanto in Italia se, contemporaneamente: – il soggetto soggiorna in Svizzera per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno scale considerato; -le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente in Svizzera; – l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha in Svizzera“.

Per quanto sopra l’Ordinanza chiarisce che nel caso in esame il par. 2 dell’art. 15 della Convenzione non può applicarsi perché: (a) il contribuente aveva soggiornato in Svizzera per 186 giorni (più di 183) e (b) le remunerazioni erano state pagate da una società residente in Svizzera. Torna quindi ad applicarsi l’art. 15,par. 1, 2° periodo, che permette la tassazione concorrente di entrambi gli Stati se un residente in Italia presta le mansioni in Svizzera.

La Cassazione quindi afferma: (i) che la Svizzera (quale Stato nel quale è svolta la prestazione) ha il diritto di tassare il salario del contribuente (primary right to tax); e (ii) che l’Italia (quale stato di residenza) ha il diritto di tassare il medesimo reddito, ma ha anche l’obbligo di evitare la doppia imposizione.

La posizione della Cassazione sulla eliminazione della doppia imposizione

La parte più interessante della Ordinanza in commento sta proprio in quest’ultimo aspetto.
La Cassazione afferma che laddove l’art. 15 della Convenzione permetta la tassazione delle remunerazioni in entrambi gli Stati, allora lo Stato italiano è tenuto a dedurre dall’imposta italiana, le imposte sui redditi pagate in Svizzera, nei limiti stabiliti dall’art. 24 della medesima Convenzione. Nell’ordinanza si legge: “La giurisprudenza di questa Corte in materia d’imposte sul reddito, ha confermato la prevalenza delle norme pattizie derivanti da accordi tra gli Stati, attesa ne la specialità e la “ratio” di evitare fenomeni di doppia imposizione, su quelle interne (Cass. 24 novembre 2016 n. 23984)”.
In sé per sé l’affermazione della Cassazione non appare innovativa, ma lo diventa se la si cala nella circostanza concreta. Nella brevissima descrizione dei fatti di causa l’Ordinanza ricorda che il contribuente aveva chiesto il rimborso di tutte le imposte pagate in Italia. Quindi, sembra di capire che il contribuente non aveva utilizzato il credito per le imposte pagate all’estero nel proprio Modello Unico.
Seppur nell’incertezza derivante dalla non conoscenza di tutti i fatti di causa, la portata innovativa dell’Ordinanza sta nel fatto che la Cassazione abbia riconosciuto il credito d’imposta previsto dall’art. 24 della Convenzione, anche se lo stesso non era stato fatto valere dal contribuente nella dichiarazione dei redditi. Ciò sul presupposto che “la norma pattizia è gerarchicamente sovra-ordinata alla legge ordinaria interna”.
Il principio affermato è molto importante perché, a differenza della norma interna (art. 165 TUIR), l’art.24 della Convenzione non pone condizioni procedurali al diritto allo scomputo delle imposte estere. Quindi, in presenza di una convenzione, quanto stabilito dalla Cassazione potrebbe essere invocato per scardinare i vincoli imposti dall’art. 165 c. 8 TUIR, che nega il diritto al credito per le imposte pagate all’estero a quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi o che non hanno indicato il reddito nella dichiarazione stessa.
Al riguardo si ricorda che nell’ambito delle procedure di Voluntary Disclosure da più parti era stato sostenuto che, in presenza di una convenzione contro le doppie imposizioni, i contribuenti italiani avevano comunque il diritto a scomputare le imposte estere, anche se non avevano dichiarato i redditi esteri. Invece, la AE aveva ripetutamente affermato la prevalenza della norma interna e disconosciuto i crediti d’imposta, sulla base dell’art. 165 c. 8 TUIR. Tanto è vero che solo una modifica normativa (art. 1-ter c. 1 lett. a) DL 50/2017 conv. in L. 96/2017) aveva permesso il riconoscimento dei crediti d’imposta, ma solo nell’ambito della VD e solo limitatamente ai redditi di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo.

Le corrette conclusioni della Cassazione nel caso specifico

La Cassazione ha escluso che il reddito fosse imponibile solo in Svizzera e ha negato al contribuente il diritto a ricevere il rimborso totale delle imposte pagate in Italia (con ciò stigmatizzando l’errore della CTR del Piemonte). Tuttavia, l’Ordinanza ha affermato che il contribuente ha diritto a ottenere un rimborso calcolato a seguito della deduzione dell’imposta estera (nei limiti previsti).

Alcune note aggiuntive

1. Qualora il contribuente fosse stato residente in un Comune nella fascia dei 20 km dal confine con la Svizzera, lo stesso si sarebbe qualificato come “lavoratore frontaliere”. Si sarebbe così applicato l’accordo tra Italia e Svizzera del 1974 che prevedeva l’esclusivo potere impositivo della Svizzera per le remunerazioni pagate per attività lavorative svolte nella confederazione. Il Contribuente avrebbe quindi avuto diritto al rimborso di tutte le imposte pagate in Italia, perché il reddito non sarebbe stato imponibile in Italia.
Si sottolinea che in data 23 dicembre 2020 l’Italia e la Svizzera hanno stipulato il nuovo accordo sull’imposizione dei lavoratori frontalieri. Il nuovo accordo sostituisce quello del 1974 e non prevede più un diritto di tassazione esclusivo della Svizzera.
2. I lavoratori dipendenti che: (i) mantengono la residenza fiscale in Italia; e (ii) svolgono l’attività lavorativa all’estero (come oggetto esclusivo del rapporto di lavoro) per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi, generalmente traggono consistenti benefici dalla applicazione dell’art. 58 c. 8-bis TUIR. La norma agevolativa permette di sottoporre a tassazione in Italia anziché il reddito di lavoro effettivamente percepito all’estero, solamente il c.d. “reddito convenzionale”, cioè un ammontare determinato forfetariamente sulla base di parametri fissati annualmente con decreto. Dall’Ordinanza emerge che il contribuente avesse applicato l’art. 51 c. 8-bis TUIR.
Anche in relazione al reddito convenzionale è possibile fruire del credito per le imposte pagateall’estero. Tuttavia, dal fatto che il reddito che concorre a imposizione in Italia è inferiore a quello assoggettato a imposte all’estero, consegue il credito per le imposte estere deve essere rimodulato (art.165 c. 1 TUIR; Circ. AE 5 marzo 2015 n. 9/E, par. 5; Ris. AE 8 luglio 2013 n. 48/E).

Cass. 13 maggio 2021 n. 12921