La Corte UE “bacchetta” la Spagna sul monitoraggio: RW italiano prossimo obiettivo?

La Corte UE “bacchetta” la Spagna sul monitoraggio: RW italiano prossimo obiettivo?

 Notizia pubblicata su MEMENTOPIU’ del 9 Febbraio 2022 da Federico Andreoli

La Corte UE “bacchetta” la Spagna sul monitoraggio: RW italiano prossimo obiettivo?

La Corte di Giustizia UE e la sentenza nella causa C-788/19

La Corte di Giustizia UE con la sentenza nella causa C-788/19 (la “Sentenza”) dichiara che la normativa spagnola sugli obblighi dichiarativi per i beni detenuti all’estero viola il principio della libera circolazione dei capitali previsto dall’art. 63 TFUE (Trattato di Funzionamento della Ue) e dall’art. 40 dell’accordo SEE (Spazio economico europeo). La normativa spagnola presenta indubbie similitudini con il complesso di norme italiane sul monitoraggio fiscale, soprattutto per quanto riguarda le sanzioni RW (art. 5 DL 167/90). È quindi legittimo aspettarsi che la sentenza della Corte abbia riflessi anche sulla normativa italiana. In ogni caso la Sentenza fornirà interessanti spunti difensivi ai contribuenti.

La “vittoria” della Commissione Ue nei confronti della Spagna

La Corte di Giustizia si esprime, in termini molto severi contro la Spagna, su un ricorso presentato dalla Commissione Ue. Si è trattato di una lunga rincorsa della Commissione, che ha “braccato” la Spagna da molti anni: prima con una lettera di messa in mora del 20 novembre 2015, poi con il parere motivato del 15 febbraio 2017 e infine con il ricorso del 23 ottobre 2019 (punti 6-9 della Sentenza).
Similmente a quanto previsto dal DL 167/90, anche in Spagna i contribuenti sono tenuti ad indicare alle Autorità fiscali tutti i beni e i diritti detenuti all’estero compilando il “Modello 720”.
Al riguardo la Corte non ha esitazioni nell’affermare che l’obbligo relativo al Modello 720 e le sanzioni collegate all’inosservanza o all’adempimento inesatto o tardivo di tale obbligo sono idonei a dissuadere, a impedire o a limitare le possibilità dei residenti di tale Stato membro di investire in altri Stati membri e costituiscono pertanto, una restrizione alla libertà di circolazione dei capitali (punti 13, 15, 19 e 20).
Tuttavia, la stessa Corte in più occasioni ha affermato che la necessità di garantire l’efficacia dei controlli fiscali e l’obiettivo di lotta contro l’evasione e l’elusione fiscali rientrano tra le ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare l’istituzione di una restrizione alle libertà di circolazione previste dal TFUE. Infatti, la Spagna richiama tali precedenti per difendere la sua normativa (punti 21-24).
Ne consegue che il tema centrale dei lavori della Corte (ben espressi nella Sentenza) è stato quello di verificare se le limitazioni imposte dalla Spagna siano o meno giustificate sulla base del principio di proporzionalità (fortemente sostenuto dalla Spagna).
La Commissione Ue ha proposto ricorso relativamente a 3 aspetti della normativa spagnola e la Corte afferma che tutti costituiscono restrizioni sproporzionate alla libera circolazione dei capitali e che quindi la Spagna viola gli obblighi imposti dall’art. 63 TFUE e dall’art. 40 dell’accordo SEE. La Commissione, pertanto, esce totalmente vincente dall’aspro confronto con la Spagna; anche se non sembra che la Corte abbia accolto tutte le tesi della Commissione.
Certamente però la Corte utilizza una delle lenti di lettura proposte dalla Commissione, cioè la sproporzionata disparità di trattamento esistente tra i residenti in Spagna a seconda del luogo in cui si trovino i loro beni e diritti (in Spagna o all’estero).
I 3 aspetti della normativa spagnola oggetto della Sentenza sono i seguenti.

Presunzione di una plusvalenza patrimoniale non giustificata pari al valore non dichiarato

Come conseguenza dell’inadempimento o dell’adempimento inesatto o tardivo dell’obbligo di compilazione del Modello 720 relativa ai beni e ai diritti situati all’estero, la legislazione spagnola fa discendere una presunzione di reddito non dichiarato (come “plusvalenze patrimoniali non giustificate”) pari al valore degli attivi non dichiarati. Una norma, quindi, simile a quella prevista dall’art. 12 c. 2 DL 78/2009.
Contrariamente a quanto chiesto dalla Commissione con il suo ricorso, la Corte ha ritenuto che la presunzione sia giustificata e quindi non violi l’art. 63 TFUE in quanto non si tratta di una vera e propria presunzione assoluta, avendo il contribuente la possibilità di fornire la prova che gli attivi non dichiarati non siano redditi (punto 32).
Tuttavia, la Corte ha affermato la contrarietà ai principi comunitari perché di fatto la sanzione non è soggetta ad alcuna prescrizione. Al riguardo la Corte ha affermato che l’assenza di prescrizione viola la fondamentale esigenza della certezza del diritto (punto 39 della Sentenza).

Sanzione del 150% dell’imposta calcolata sugli attivi non dichiarati.

La legislazione spagnola associa alle violazioni degli obblighi dichiarativi del Modello 720, l’irrogazione di una sanzione pari al 150% dell’imposta calcolata sulle somme corrispondenti agli attivi non dichiarati. Tale sanzione può essere cumulata con le sanzioni forfettarie (esaminate qui di seguito) e può quindi portare nel complesso i contribuenti ad un carico sanzionatorio superiore al 100% del valore degli attivi non dichiarati. La Corte ritiene che tale regime sanzionatorio ha un carattere “estremamente repressivo” e costituisce quindi un “pregiudizio sproporzionato” alla libera circolazione dei capitali (punti 53 e 54 della Sentenza).

Sanzioni forfettarie

La Spagna associa alla violazione degli obblighi dichiarativi dl Modello 720 sanzioni forfettarie pari a € 5.000 per dato o categoria di dati mancanti, incompleti, inesatti o falsi, con un minimo di € 10.000, ed è pari a € 100 per dato o categoria di dati dichiarati tardivamente o non dichiarati in forma dematerializzata con un minimo di € 1.500.
La Corte evidenzia tre aspetti devono essere evidenziati: (i) l’importo complessivo di tali sanzioni forfettarie non è soggetto a un limite massimo; (ii) infrazioni simili in un contesto puramente nazionale sono enormemente inferiori (a seconda dei casi 15, 50 o 66 volte più basse) (punto 56 della Sentenza); (iii) le sanzioni sono indipendenti dalla presenza di un danno economico per l’Erario (in termini di imposte sui rediti) (punto 59); e (iv) le sanzioni forfettarie si cumulano con la predetta sanzione del 150%.
Anche in questo caso la Corte ritiene che per tali ragioni le sanzioni forfettarie istituiscono una restrizione sproporzionata alla libera circolazione dei capitali.

La denuncia italiana

Successivamente alla presentazione del ricorso alla Corte da parte della Commissione UE, l’Associazione italiana dei dottori commercialisti ha presentato (in data 12 dicembre 2019) alla stessa Commissione una denuncia relativa alle norme italiane sul monitoraggio fiscale e la prassi interpretativa dell’Agenzia delle Entrate.
La dettagliata denuncia italiana evidenzia molto bene le ragioni per cui le disposizioni italiane non rispettino il principio di proporzionalità nell’imporre evidenti limitazioni alle libertà di circolazione previsti dal TFUE.
Vari aspetti della denuncia italiana trovano chiara conferma nelle interpretazioni fornite dalla Corte di Giustizia. Pertanto, se la questione verrà portata all’attenzione della Corte, è ragionevole aspettarsi che la stessa replichi per il monitoraggio fiscale italiano quanto affermato nei confronti della Spagna (almeno relativamente al regime sanzionatorio).
Si pensi al punto 53 della Sentenza in cui la Corte ritiene che la sanzione del 150% ha “carattere estremamente repressivo”, perché, se cumulata con altre sanzioni, può superiore al 100% del valore dei beni non dichiarati.
Inoltre nei punti 50 e 60 la Corte evidenzia che le sanzioni spagnole vanno a punire solo “l’inosservanza di meri obblighi di dichiarazione o di obblighi puramente formali”. Al riguardo la Commissione Ue aveva inoltre evidenziato che le sanzioni si applicano indipendentemente dal pregiudizio per l’Erario in termini di imposte sui redditi (punti 44 e 59).
Infine, i punti 54 e 58 e 59 della Sentenza viene evidenziato come le sanzioni spagnole legate alla mancata o errata compilazione del Modello 720 sono sproporzionate (i.e. enormemente maggiori) rispetto alle sanzioni comminate in caso di analoghe violazioni dichiarative relative ad aspetti domestici.
Non si può non vedere come le critiche evidenziate dalla Sentenza, siano riferibili anche al sistema sanzionatorio legato alla compilazione del Modello RW, per come applicato ed interpretate dall’AE, ad es. anche ai beneficiari effettivi e ai delegati sui conti.

La questione delle informazioni già a disposizioni delle autorità fiscali

Dalla lettura della Sentenza (ad es. punti 24, 55 e 57) emerge che certamente uno degli aspetti esaminati dalla Corte è stato quello della rilevanza delle informazioni già a disposizione delle autorità fiscali, ad es. per effetto della Dir. 2011/16/Ue relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale (come modificata) e della partecipazione degli Stati ai sistemi CRS dell’OCSE (Common Reporting Standard) e FACTA.
Il quesito posto è il seguente: è legittimo e proporzionato imporre severe sanzioni per la mancata compilazione del Modello 720 spagnolo (e del Quadro RW italiano), laddove le autorità dispongono già delle informazioni che il contribuente non ha indicato nella propria dichiarazione?
Nella parte introduttiva della Sentenza (punto 24) la Corte chiarisce che gli obblighi dichiarativi (sugli attivi detenuti all’estero) che comportano una restrizione alla libera circolazione dei capitali non sono illegittimi di per sé stessi considerato che il livello di informazioni di cui dispongono le autorità nazionali relativamente agli attivi che i loro residenti fiscali detengono all’estero è, complessivamente, inferiore a quello di cui esse dispongono in merito agli attivi situati nel loro territorio, anche se si tiene conto dell’esistenza di meccanismi di scambio di informazioni e/o di assistenza amministrativa tra gli Stati membri.
La Corte ha quindi indicato (punto 24) che tali aspetti debbono essere esaminati nell’ambito del giudizio di proporzionalità; per verificare se tali obblighi dichiarativi (e le relative sanzioni) eccedano o meno quanto necessario per garantire l’efficacia dei controlli fiscali e la lotta all’evasione fiscale.
Su tale delicato aspetto, però, la Corte non ha preso una posizione esplicita. Infatti, nella Sentenza sono riportate solo le affermazioni della Spagna e della Commissione Ue.
In altri termini il sistema sanzionatorio spagnolo è stato giudicato non proporzionale indipendentemente dal fatto che le autorità spagnole fossero o avrebbero potuto essere già in possesso delle informazioni. Non è detto che questi aspetti possano essere tenuti in considerazione in un prossimo giudizio (ad esempio in quello contro l’Italia).

Il tema degli Stati non membri della Ue (clausola stand still)

La Corte di Giustizia Ue si pronuncia sulla violazione dei principi comunitari e dichiara che il legislatore spagnolo “ha arrecato un pregiudizio sproporzionato alla libera circolazione dei capitali”. L’ambito dell’esame è quello dei principi comunitari, ma la Corte non prende posizione in merito agli obblighi dichiarativi relativi a beni situati in Paesi extra Ue.
Questo aspetto, invece, è stato evidenziato nella denuncia italiana (pag. 29-30 della memoria allegata alla denuncia) che richiamando gli artt. 63 e 64 del TFUE sostiene che la libera circolazione dei capitali dovrebbe essere assicurata dall’Italia anche con riferimento agli Stati terzi con i quali è in vigore un accordo per lo scambio automatico delle informazioni. Come è noto questo aspetto assume enorme rilevanza in ragione del raddoppio delle sanzioni e il raddoppio dei termini previsti per i beni situati Paesi inclusi nella black list ma che scambiano informazioni con l’Italia.