Libera circolazione dei capitali e fondi di investimento USA

Libera circolazione dei capitali e fondi di investimento USA

 Redatto in data 11 Luglio 2022 da Federico Andreoli

Libera circolazione dei capitali e fondi di investimento USA

Secondo la Cassazione un fondo extra UE, che ha subito la ritenuta convenzionale del 15% sui dividendi pagati da citazione della società italiane, ha diritto al rimborso del differenziale rispetto all’aliquota del 12,5% applicabile in ambito domestico.

La serie di sentenze gemelle della Cassazione depositate il 6 luglio 2022 è certamente destinata a lasciare un segno profondo nella interpretazione del diritto tributario unionale internazionale. Vediamo in particolare quanto disposto nella della Cass. 6 luglio 2022 n. 21454. La Suprema Corte sancisce che, anche nei confronti di soggetti non residenti nella UE, il giudice italiano ha l’obbligo interpretare le norme domestiche e le convenzioni contro le doppie imposizioni alla luce dei principi UE e attraverso una interpretazione adeguatrice che deve scongiurare che dette norme violino il principio della libera circolazione dei capitali sancito dall’art.  63 TFUE.

La Cassazione è esemplare quanto a chiarezza dei contenuti e percorso logico-argomentativo, nonostante la complessità e l’incertezza che caratterizzano i temi trattati. Con il parere favorevole dell’Avvocato Generale, la sentenza cassa (in modo severo) la pronuncia della CTR Abruzzo 13 giugno 2019 n. 572, che era favorevole all’AE.

Caso

Il giudizio risolto dalla Cassazione nella sentenza Cass. 6 luglio 2022 n. 21454 era stato promosso da un fondo d’investimento mobiliare di diritto statunitense residente in California (il “Fondo”) che, tra il 2007 e il 2010, aveva ricevuto dividendi da diverse società italiane quotate in borsa. Tali dividendi erano stati assoggettati ad una ritenuta alla fonte del 15% (prelevata dalla società quotata) ai sensi dell’art. 10 Convenzione bilaterale con gli USA pro-tempore applicabile.

Il Fondo aveva presentato istanza di rimborso per la maggiore tassazione indebitamente pagata attraverso la ritenuta del 15%, ritenendo che la stessa fosse illegittima perché imponeva, ai percettori di dividendi non residenti, un trattamento irragionevolmente deteriore, e quindi discriminatorio ai sensi dell’art. 63 TFUE, rispetto a quello riservato ai “fondi comuni di investimento mobiliare aperti di diritto nazionale” che era del 12,5%.

A fronte di sentenze negative nei due giudizi di merito il Fondo era ricorso in Cassazione ritenendo che la normativa nazionale che ha recepito le due convenzioni bilaterali con gli USA, pro tempore applicabili, violasse il principio comunitario di libera circolazione dei capitali come interpretato dalla Corte di giustizia UE.

È noto, infatti, che l’art. 63 TFUE non limita il suo ambito di applicazione ai soli Stati UE, ma riguarda anche gli Stati terzi come gli USA, in quanto dispone al primo comma che “Nell’ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”.

Quadro normativo di riferimento

Il Fondo sosteneva che in ambito domestico un investitore avrebbe subito sui dividendi un gravame del 12,5% e quindi sarebbe discriminatorio ai sensi dei principi unionali applicare il 15% solo perché il Fondo è residente negli USA.

Per comprendere le ragioni del Fondo si deve fare un balzo indietro.

La sentenza della Cassazione in esame riassume efficacemente quale fosse il regime dei dividendi percepiti da fondi tra il 2007 e il 2010. La disciplina per i fondi comuni di investimento in valori mobiliari aperti residenti era dettata dall’ art. 9 c. 1 e 2 L. 77/83. Il sistema prevedeva l’applicazione di una imposta sostitutiva sul risultato maturato dalla gestione del fondo.

Tale regime è stato poi soppresso dall’art. 2 DL 225/2010 a fare data dal 1° luglio 2011 ed è stata introdotta la ritenuta in capo al partecipante al fondo applicata al momento della percezione dei proventi distribuiti dal fondo stesso. L’istanza di rimborso riguarda il periodo, ante luglio 2011, in cui si applicava la tassazione sul “maturato”.

Quanto ai dividendi, nell’ambito del regime di tassazione sul risultato di gestione i fondi erano c.d. “lordisti” (i.e. la società emittente non doveva prelevare la ritenuta) relativamente ai dividendi di fonte italiana; poiché l’imposizione (12,5% ovvero 5%) gravava sul risultato della gestione del fondo maturato in ciascun anno ed era applicata dalla società di gestione.

In conclusione, la tesi prospettata dal Fondo era che costituisce un prelievo discriminatorio, per violazione del divieto di restrizione dei movimenti di capitali tra Stati membri e Paesi terzi, di cui all’art. 63 TFUE, la differenza tra:

  • l’aliquota convenzionale del 15%;
  • l’aliquota del 12,5% che sarebbe stata applicata al Fondo se fosse stato istituito in Italia.

Precedenti a livello UE e SEE

La sentenza Cass. 6 luglio 2022 n. 21454 in commento al par. 6.3 ricorda:

  • che il tema del regime di tassazione italiano dei dividendi distribuiti in Italia ad O.I.C.R. esteri era stata già oggetto di una attività investigativa da parte della Commissione UE (cfr. EU PILOT 8105/15/TAXU) in merito alla possibile incompatibilità con il diritto europeo e la possibile discriminazione rispetto al trattamento riservato agli O.I.C.R. nazionali; e
  • che a seguito dell’attività della Commissione, la normativa domestica era stata modificata dalla Legge di Bilancio 2021 (L. 178/2020 c. da 631 a 633), prevedendo che con riferimento ai dividendi percepiti dal 1° gennaio 2021, il trattamento fiscale dei dividendi e delle plusvalenze conseguiti da O.I.C.R. di diritto estero, stabiliti in Stati UE o SEE che consentono un adeguato scambio di informazioni, è equiparato al trattamento fiscale dei dividendi e delle plusvalenze realizzati da analoghi organismi istituiti e residenti in Italia.

Al par. 6.7 della motivazione sono poi richiamati vari precedenti della Corte di giustizia in cui viene affermato che l’art. 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che una normativa di uno Stato membro preveda che i dividendi distribuiti da società residenti a un organismo di investimento collettivo (OIC) non residente sono soggetti a una ritenuta alla fonte, mentre i dividendi distribuiti a un OIC residente sono esenti da una siffatta ritenuta. In tal senso recentemente C.Giust. 17 marzo 2022 C‑545/19, AllianzGI-Fonds AEVN, relativa alla legislazione portoghese.

Art. 63 TFUE trova applicazione anche per soggetti extra UE

La Suprema Corte è però ben consapevole che le modifiche normative di cui alla Legge di Bilancio 2021 riguardavano l’applicazione di principi comunitari nell’ambito della UE stessa. Mentre, nel caso di specie il soggetto che richiede il rimborso è extra UE.

Il tema è affrontato nel paragrafo 6.4 della sentenza in cui la Cassazione ricorda che la Corte di giustizia UE ha costantemente affermato che il principio di libera circolazione dei capitali trova applicazione anche nei confronti di Stati terzi e che “le misure vietate dall’articolo 63, paragrafo 1, TFUE, in quanto restrizioni dei movimenti di capitali, comprendono quelle che sono idonee a dissuadere i non residenti dal compiere investimenti in uno Stato membro o a dissuadere i residenti di detto Stato membro dal compierne in altri Stati”.

In particolare la Cassazione richiama la sentenza della C.Giust. 10 aprile 2014 C-190/2012, Emerging Markets riguardante il caso di dividendi versati da società stabilite in uno Stato membro a favore di un fondo di investimento stabilito in uno Stato terzo (anche in quel caso gli Stati Uniti).

La Cassazione conclude affermando che la circostanza che il Fondo sia residente negli USA, e non in uno Stato UE, non preclude a priori la rilevanza dell’art. 63 c. 1 TFUE.

Rapporto tra Convenzioni bilaterali e art. 63 TFUE

Il secondo tema di grandissima rilevanza affrontato dalla Cassazione (par. 6.5 e 6.6 Cass. 6 luglio 2022 n. 21454), riguarda il rapporto tra la normativa unionale prevista dall’art. 63 TFUE e le convenzioni contro le doppie imposizioni.

La Cassazione critica la sentenza della CTR che aveva ritenuto che “la sussistenza di un accordo bilaterale tra Stati determini quanto meno la presunzione che il sistema creato sia coerente e non discriminatorio, quindi una presunzione di legittimità della normativa vigente (anche rispetto all’art. 63 del TFUE.

Al contrario in termini molto severi la Suprema Corte afferma che “la stipulazione di una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni non comporta necessariamente la conformità del sistema tributario nazionale ai principi espressi dal TFUE in materia di libera circolazione dei capitali; né esclude comunque l’assenza di ogni possibile restrizione tra Stati membri e, per quanto qui più rileva, tra Stati membri e paesi terzi. Sicché l’obbligo di verifica in materia (e quello, eventualmente conseguente, di ricorrere all’interpretazione adeguatrice della norma internazionale pattizia, nei limiti indicati), gravante sul giudice nazionale, non può essere sostanzialmente vanificato attraverso l’applicazione di una presunzione di legittimità che non ha alcun fondamento, né legale, né logico-giuridico”.

Nel par. 6.5 della sentenza in esame la Corte richiama, infatti, diversi precedenti sia della Corte di Giustizia sia della Cassazione stessa, in merito alla necessità che, nell’interpretare le disposizioni previste dalle convenzioni contro le doppie imposizioni, il giudice deve utilizzare una interpretazione adeguatrice al diritto comunitario, al fine di rispettare il principio di non discriminazione e tutte le libertà di stabilimento e di circolazione del capitale, tutelate dal TFUE. Tra le altre vengono citate la risalente Cass. 17 marzo 2000 n. 3119 e la recente Cass. 16 febbraio 2022 n. 5152).

Conclusioni

La Cassazione conclude quindi affermando (al par. 6.9) lo scarto tra l’aliquota massima del 15% applicata al Fondo ai sensi della convenzione Italia-USA e l’aliquota del 12,50% integra una differenza di trattamento fiscale a svantaggio del Fondo che costituisce una violazione dell’art. 63 TFUE. Una violazione che non è giustificata, e che “va scongiurata attraverso l’interpretazione adeguatrice della disposizione convenzionale”.

La Corte quindi cassa rinviando alla CTR che dovrà decidere sulla base del principio di diritto sancito in modo davvero perentorio dalla Cassazione: il testo dell’art. 10 par. 2 lett. b) Convenzione Italia-USA laddove indica che l’imposta applicata nello Stato della fonte (Italia) “non può eccedere il 15 per cento dell’ammontare lordo”, va interpretato – secondo il canone di buona fede ex art. 31 del Trattato di Vienna ed i principi della fiscalità̀ comunitaria ed internazionale, per evitare la violazione dell’art. 63 TFUE in tema di libera circolazione dei capitali tra Stati membri e paesi terzi- nel senso che anche ai dividendi pagati da società residenti ai fondi d’investimento mobiliare aperti statunitensi si applica l’aliquota del 12,5 per cento, cui erano assoggettati ratione temporis, sul risultato della gestione, i fondi comuni mobiliari aperti residenti ai sensi dell’art. 9, comma 2, l. n. 77 del 1983.”

Il principio di non discriminazione sancito con le sentenze del 6 giugno 2022 per soggetti extra Ue e ribadito dalla sentenza Cass. 7 giugno 2022 n. 21598 per un OICR comunitario, avrà prevedibilmente ampie conseguenze anche in futuro.

FonteCass. 6 luglio 2022 n. 21454