Assonime riassume punti fermi e incertezze relativi alla definizione di intermediari finanziari e holding

Assonime riassume punti fermi e incertezze relativi alla definizione di intermediari finanziari e holding

 Notizia pubblicata su MEMENTOPIU’ del 18 Ottobre 2021 da Federico Andreoli

Assonime Circolare 28/2021 definizione di Intermediari Finanziari e di Holding

L’introduzione dell’art. 162-bis TUIR

Assonime aveva già esaminato le problematiche derivanti dalla nuova definizione di intermediari finanziari prevista dall’art. 162-bis TUIR introdotto dall’art. 12 D.Lgs. 142/2018. Nei due anni successivi a tale circolare, l’AE ha pubblicato ben 7 pronunciamenti. Assonime ritorna quindi a esaminare la tematica per evidenziare gli aspetti risolti e le incertezze ancora presenti (Circ. Assonime 24 settembre 2019 n. 16).
In primo luogo, Assonime ricorda la genesi e la ratio della nuova definizione di intermediari finanziari e di holding contenuta nell’art. 162-bis TUIR,  sottolineando che le c.d. direttive ATAD (Dir. n. 2016/1164/UE-ATAD 1 e Dir. 2017/952/UE-ATAD 2) avevano delineato una nuova nozione di intermediari finanziari ai soli fini della deduzione degli interessi passivi sui finanziamenti contratti dalle imprese societarie e specificamente dai gruppi multinazionali.
Tuttavia, con l’art. 12 D.Lgs. 142/2018, il Legislatore italiano, non limitandosi al regime degli interessi passivi, ha attuato in Italia le direttive ATAD definendo “a tutto campo” (cioè IRES e IRAP) il regime applicabile agli intermediari finanziari e alle holding.
La ratio del D.Lgs. 142 era quella di definire in un’ottica più ampia e  sistematica i criteri di individuazione dei soggetti “finanziari” ai fini IRES e IRAP per fare fronte a notevoli disallineamenti tra le definizioni fiscali e quelle civilistico-contabili, dovuti al susseguirsi di modifiche normative. In questo contesto oltre ad introdurre l’art. 162-bis, il D.Lgs. 142 aveva dovuto modificare altre norme applicabili ai soggetti finanziari, ad es.: (i) l’art. 96 TUIR sulla deducibilità degli interessi passivi; (ii) l’art. 106 TUIR sulla deducibilità delle svalutazioni e perdite su crediti; (iii) l’art. 113 TUIR relativo alla facoltà di optare per la non applicazione del regime PEX in relazione alle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari; e (iv) l’art. 6 D.Lgs. 446/97 riguardante la base imponibile IRAP dei soggetti finanziari.
Nonostante le finalità chiarificatrici, Assonime evidenzia che l’introduzione dell’art. 162-bis TUIR ha creato grandi incertezze, solo in parte risolte dall’AE.

La nozione di intermediario finanziario e holding ex art. 162-bis TUIR

La norma prevede che, ai fini IRES e IRAP, i soggetti che svolgono una attività latu sensu finanziaria sono divisi in 4 categorie sulla base dell’attività effettivamente svolta (e la tipologia dell’attivo patrimoniale detenuto): 1) i soggetti che svolgono attività propriamente finanziaria (e, per questo motivo, definiti “intermediari finanziari”); 2) le holding finanziarie che si annoverano anch’esse negli intermediari finanziari ma conservano anche la peculiare qualifica di holding finanziarie; 3) le holding non finanziarie (cioè quelle industriali e commerciali) escluse in quanto tali dal novero degli intermediari finanziari; e 4) i soggetti assimilati alle holding non finanziarie (cioè tutti quei soggetti che svolgono attività latu sensu finanziaria, ma non nei confronti del pubblico).
Assonime rimarca che in particolare: (i) la qualificazione di una società come holding e, (ii) la sua caratterizzazione come holding finanziaria o industriale, hanno dato luogo a rilevanti incertezze, soprattutto per le società che detengono asset partecipativi eterogenei, cioè sia in soggetti finanziari, che industriali.

Per le holding è necessario un doppio asset test di prevalenza relativa

Il combinato disposto delle lettere b) e c) del c. 1 e dei c. 2 e 3 dell’art. 162-bis è di difficile composizione. I c. 2 e 3 dettano i criteri per definire se una società svolge in via prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari o in soggetti diversi (cioè industriali e commerciali). I criteri si basano sulla composizione patrimoniale (asset test) che emerge dal bilancio. Ma vi sono varie incertezze su quali siano gli elementi da computare
nell’asset test e quali siano le modalità applicative dell’asset test.
Assonime aveva sostenuto che l’asset test dovesse essere svolto in due fasi logicamente successive (Circ. Assonime 24 settembre 2019 n. 16). Con un primo asset test si deve valutare se più del 50% dell’attivo patrimoniale fosse di natura partecipativa; in tal caso la società sarebbe da qualificarsi come holding. Una volta accertato che la società è una holding, con il secondo asset test, per definire la tipologia di holding (finanziaria piuttosto che industriale), si dove soppesare tra loro la tipologia degli assets partecipativi detenuti (finanziari versus industriali/commerciali). Cioè verificare se gli asset finanziari siano superiori a quelli industriali, o viceversa.
La AE, con la Risp. AE 13 gennaio 2021 n. 40, ha accolto la tesi dell’Assonime confermando che si deve procedere con due asset test basati su un criterio di prevalenza relativa; cioè confrontando con il primo test la tipologia degli assets partecipativi rispetto il totale degli assets; mentre con il secondo test si deve verificare tra loro solo degli assets finanziari rispetto a quelli industriali (per determinarne la prevalenza).
Per illustrare il meccanismo del doppio asset test Assonime propone il seguente esempio numerico: se una società detiene asset partecipativi per il 51% del totale dell’attivo la società è da qualificarsi come holding perché vi è una prevalenza relativa degli elementi partecipativi rispetto al totale degli asset. Se poi le partecipazioni finanziarie sono pari per 26% del totale dell’attivo e partecipazioni industriali/commerciali pari al 25%, la società dovrà qualificarsi come holding finanziaria, in quanto vi è prevalenza relativa delle partecipazioni finanziarie (26%) rispetto alle industriali (25%).
Risolto tale aspetto, Assonime evidenzia che, nonostante alcuni chiarimenti dell’AE, permangono altri dubbi.

Tipologia di beni da computare negli asset test

Il comma 1 lett. b) dell’art. 162-bis dispone che sono holding finanziarie “i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari”. Mentre, la successiva lett. c) dispone che sono holding non finanziarie “..i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attivita’ di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari….”. I due testi sono quindi sostanzialmente speculari. Invece, non sono speculari i c. 2 e 3 che indicano i criteri di definizione di holding ai fini delle due predette lettere b) e c). È questa divergenza che crea i problemi interpretativi esaminati da Assonime.
Infatti, da un lato il comma 2 sancisce che “l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari sussiste, quando … l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti intermediari finanziari e altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate, sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate”.
Dall’altro lato il c. 3 dispone che “l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari sussiste, quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti soggetti e altri elementi patrimoniali intercorrenti con i medesimi, unitariamente considerati, sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale”.
Quindi, “gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate”, di cui al comma  non compaiono nel comma 3; cioè se ci si limita al dato letterale, il comma 2 imporrebbe di considerare un numero di asset maggiore del comma 3, con la conseguenza che gli assets finanziari potrebbero “pesare” di più rispetto a quelli industriali.
Al riguardo, Assonime ricorda che il MEF nella risposta all’interrogazione parlamentare n. 5-01951 del 17 aprile 2019 ha preso posizione sul fatto che dal punto di vista logico sistematico non dovrebbero esserci distinzione tra gli elementi patrimoniali da prendere in considerazione per le due tipologie di holding. Nel 2019 il MEF auspicava un intervento normativo che però non vi è stato. Assonime ritiene che, nonostante l’incertezza, i finanziamenti e le garanzie infragruppo verso partecipazioni industriali debbano essere computate. Ciò per entrambi i due due asset test. Tuttavia, relativamente al secondo aspetto (bilanciamento tra assets finanziari e non finanziari per
determinare si una holding sia finanziaria o meno) Assonime esamina criticamente quanto affermato nella Risp. AE 13 gennaio 2021 n. 40 che sembra portare alla conclusione che ai fini di determinare se una società holding sia di tipo finanziario o industriale, dovrebbero essere prese in considerazione solo le partecipazioni e non i predetti elementi patrimoniali ancillari. Assonime critica la posizione della AE da un punto di vista logico e sistematico e fornisce due esempi per evidenziare le (non coerenti) conseguenze che discenderebbero dalla interpretazione dell’AE.
Primo esempio. L’attivo patrimoniale è dato da: 30% partecipazione industriale; 21% partecipazione finanziarie; e 5% attivi ancillari industriali; e 15% attivi ancillari finanziari.
Conclusioni: nessun dubbio che la società sia holding (30%+21%+15%= più del 50% del totale degli asset). Ma per valutare se si tratti di holding finanziaria o meno: se si bilanciano solo le componenti partecipative (30% industriale e 21% finanziario) la società sarebbe holding industriale; se si prende in considerazione anche le componenti ancillari (35% industriale e 36% finanziaria) la società sarebbe holding finanziaria. Con il secondo esempio Assonime sottolinea che il metodo proposto dall’AE potrebbe suscitare perplessità ancora maggiori nel caso in cui gli elementi patrimoniali-finanziari attestantiuna connessione con i soggetti partecipati siano, non soltanto presenti nell’attivo patrimoniale, ma decisivi ai fini della qualificazione della società come holding. Si pensi al caso in cui l’attivopatrimoniale è dato da: 15% partecipazioni industriali e 25% partecipazioni finanziarie; e 30% attivi ancillari industriali e 15% attivi ancillari finanziari. In questo caso se si somma solo la componente partecipativa (15% industriale e 25% finanziaria = tot. 40%) la società non sarebbe holding. Mentre se si sommano anche le attività ancillari finanziarie (15%) la società sarebbe holding (40%+15% tot. superiore al 50% del totale dell’attivo) e in particolare sarebbe una holding finanziaria perché gli attivi finanziari (25%+15% = 40%) sarebbero superiore alla sola
componente partecipativa industriale (15%). Mentre, se si bilanciassero tutti gli attivi industriali (15%+30% = 45%) si dovrebbe concludere che la holding si qualifica come industriale che ha un valore di 45% maggiore di quella finanziaria pari al 40%. In altri termini Assonime evidenzia che conteggiare i finanziamenti e garanzie solo verso soggetti finanziari potrebbe portare a considerare come “intermediari finanziari” (cioè anche holding che sarebbero “solo” industriali.

L’attivo circolante deve essere escluso dagli asset test

In relazione ai test patrimoniali era sorto il dubbio se fossero da computare solo le partecipazioni contabilizzate in bilancio tra le immobilizzazioni o rilevassero anche quelle registrate nell’attivo circolante. Il dubbio sorgeva in quanto il testo dell’art. 162-bis nulla prevede circa la destinazione e la classificazione in bilancio dei titoli detenuti.
Al riguardo, Assonime aveva già sostenuto che era la stessa natura di holding a far presupporre logicamente la rilevanza delle sole partecipazioni “immobilizzate”. Cioè che fossero rilevanti solo gli elementi patrimoniali attestanti una connessione finanziaria “stabile” e che quindi i c. 2 e 3 dell’art. 162-bis dovessero essere interpretati nel senso di dare rilievo alle sole partecipazioni immobilizzate.
L’AE ha condiviso la posizione dell’Assonime nella Risp. AE 19 aprile 2021 n. 266, chiarendo che: (i) le partecipazioni acquisite a fini meramente speculativi (cioè rilevate nell’attivo circolante) non rientrano tra quelle soggette al test di prevalenza; e però che (ii) rientrano nella base di computo “quelle partecipazioni che acquisite come immobilizzazioni finanziarie, sono state successivamente collocate nel circolante in attesa di realizzo” (in senso conforme, Risp. AE 24 maggio 2021 n. 363).

Quale bilancio è rilevante ai fini dell’asset test

Entrambi i già richiamati c. 2 e 3 dell’art. 162-bis indicano che l’asset test deve avere ad oggetto il “bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso”. Al riguardo erano due gli aspetti potenzialmente controversi: (i) “ultimo” bilancio rispetto a cosa?; e (ii) l’asset test deve essere fatto ogni anno con esiti potenzialmente opposti da anno in anno? Assonime (par. 1.3 della Circ. Assonime 21 settembre 2021 n. 28) ritiene che l’asset test abbia efficacia in modo autonomo per a ciascun periodo d’imposta, indipendentemente dagli anni pregressi; e che per accertare se sussista o meno la qualificazione di holding in un dato periodo d’imposta occorre tener conto dei dati che emergono dal bilancio relativo allo stesso esercizio; senza che assumano rilievo i dati relativi all’esercizio precedente. Tale posizione è stata condivisa dall’AE, che ha affermato che la valutazione deve essere operata al momento di presentazione della dichiarazione dei redditi, con la conseguenza che il concetto di “ultimo” è relativo al momento della presentazione della dichiarazione che, il tenuto conto degli ordinari termini di scadenza per la presentazione della medesima, il bilancio cui fanno riferimento i predetti c. 2 e 3 sia quello relativo all’esercizio sociale coincidente con il periodo d’imposta
oggetto della dichiarazione (così la già richiamata Risp. AE 13 gennaio 2021 n.40 – confermata da circ. AE 14 maggio 2021 n. 5/E).

La definizione di holding ai fini PEX

Assonime pone il quesito se la definizione di holding prevista dall’art. 162-bis debba o meno riverberare i suoi effetti anche ai fini del regime della participation exempion previsto dall’art. 87 TUIR. Il dubbio è motivato dal fatto che l’art. 162-bis è posizionato nell’ambito del Titolo III del TUIR relativo alle “Disposizioni comuni” e ciò potrebbe far ritenere che il Legislatore abbia voluto creare una disciplina comune per gli intermediari finanziari. Pertanto Assonime si chiede se la nuova definizione di società di partecipazione ex art. 162-bis abbia, seppur non espressamente ma de facto, sostituito quella contenuta nel c. 5 dell’art. 87 TUIR.
La questione è così riassumibile: il c. 1 dell’art. 87, alle lettere c) e d) condiziona l’applicazione del regime PEX al soddisfacimento di due requisiti oggettivi relativi alla società oggetto di vendita: (i) la sua residenza in uno Stato non avente “regime fiscale privilegiato”; e (ii) lo svolgimento di una attività commerciale. Il successivo c. 5 dispone che in caso di vendita di holding, cioè per le partecipazioni in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, i requisiti di cui alle lettere c) e d) del comma 1 si riferiscono alle società indirettamente partecipate e si verificano quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante.”
Il dubbio di Assonime non è di poco conto perché i criteri dettati dalle due norme (87 e 162-bis) per definire una “holding” sono molto distanti anche nella loro applicazione pratica. Infatti, l’art.162-bis fa riferimento esclusivamente ai (rigidi) valori di bilancio, mentre per l’art. 87, come da subito interpretato dall’AE (Circ. AE 4 agosto 2004 n. 36/E – par. 2.3.5), si deve fare riferimento ai (più incerti e variabili/flessibili) valori correnti (fair value). Inoltre, si è già ampiamente evidenziato come ai fini dell’art. 162-bis, la definizione si società di partecipazione, non rilevino solo le partecipazioni ma anche altri attivi patrimoniali.
La differenza tra i criteri dettati dalle due norme è tanto rilevante da portare Assonime ad  affermare che il criterio di individuazione delle holding contenuto nel c. 5 dell’art. 87 TUIR “si pone in senso diametralmente opposto rispetto a quello utilizzato dall’art. 162-bis del TUIR per individuare le società di partecipazione e qualificarne la specifica natura finanziaria o industriale/commerciale”.
L’incertezza evidenziata da Assonime ha conseguenze pratiche molto rilevanti vista l’enorme differenza del carico impositivo derivante dall’applicazione o meno del regime PEX. Sebbene, almeno in linea teorica, l’adozione di una interpretazione piuttosto che l’altra (efficacia o meno dell’art. 162-bis), non porti un vantaggio o uno svantaggio generalizzato per i contribuenti (nel senso che alcuni potrebbero essere avvantaggiati ed altri svantaggiati, dall’abbandono del criterio del fair value); è evidente che un cambiamento “in corsa” dei criteri per l’applicazione del regime PEX avrebbe un impatto enorme sulle pregresse (e future) strategie aziendali.
In conclusione, però, sulla base di condivisibili e approfondite argomentazioni di ordine letterale e logico-sistematico, Assonime, esclude l’applicabilità dell’art. 162-bis e conferma che il punto di riferimento deve rimanere il c. 5 dell’art. 87 TUIR.