Cassazione conferma la PEX per non residenti

Cassazione conferma la PEX per non residenti

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Redatto in data 3 Ottobre 2023 da Federico Andreoli
Pubblicato in QuotidianoPIÙ di Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.

Regime PEX: la Cassazione riconferma l’applicabilità anche alle società UE

Con la sentenza n. 27267 del 25 settembre 2023 la Cassazione riconferma che il regime della partecipation exemption è applicabile anche alle società residenti in Stati UE prive di stabile organizzazione in Italia. È prevedibile che i principi espressi abbiano ampi sviluppi in futuro.

I fatti di causa

Con la sentenza n. 27267 del 25 settembre  2023 la Cassazione esamina un caso sostanzialmente  analogo a quello già esaminato con la sentenza Cass. n. 21261 del 19 luglio 2023 e anche l’esito è il medesimo con un espresso richiamo (par. 4.2.) alla precedente motivazione.

Entrambe le sentenze riguardano plusvalenze realizzate da società residente in Francia senza stabile organizzazione in Italia. Nel caso in esame, nel 2016 la holding aveva realizzato una plusvalenza con la cessione del 24,50% di una Srl italiana. Holding aveva versato le imposte in Italia e aveva proposto istanza di rimborso, impugnando il silenzio rifiuto. Sia la CTP, che la CTR della Lombardia (725/2021 del 22 febbraio 2021) avevano accolto la posizione del contribuente. Da notarsi la velocità con cui la Cassazione si è pronunciata, considerato che la CTR è del 2021.

L’art. 151 c. 3 TUIR dispone che gli enti commerciali non residenti senza stabile organizzazione in Italia determinano il reddito imponibile secondo le disposizioni del Titolo I del TUIR, cioè in base alle categorie di reddito di cui all’art. 6 TUIR (come le persone siche). Per tali soggetti non è quindi disponibile il regime PEX. Invece, ai sensi del combinato disposto dell’art. 87 e art. 152 TUIR le società non residenti aventi una stabile organizzazione in Italia possono applicare il regime PEX, poiché determinano il reddito in base al Titolo II del TUIR.

Holding aveva realizzato così “redditi diversi” ex art. 67 TUIR e aveva determinato il reddito imponibile ai sensi dell’art. 68 c. 3 TUIR che, ratione temporis, prevedeva l’esenzione da IRES del 50,28% della plusvalenza. Invece, a parità di condizioni una società residente avrebbe bene ciato del regime PEX con la “esenzione” da IRES del 95%.

Holding aveva versato imposte pari al 13,673% della plusvalenza (cioè l’IRES al 27,5% applicata sul 49,72% della plusvalenza). Se, invece, avesse applicato il regime PEX, Holding avrebbe versato solo l’1,375% (IRES al 27,5% sul 5% della plusvalenza). Come noto, il regime è stato modificato e reso più gravoso perché, ad oggi, le società non residenti senza stabile subiscono l’imposta sostitutiva del 26% sul 100% della plusvalenza.

Dalla sentenza emerge che Holding non ha potuto godere della regola generale della non imponibilità in Italia del capital gain prevista dall’art. 13 par. 4 del trattato tra Italia e Francia. Ciò per e etto della eccezione disposta dall’art. 8, lett. b) del Protocollo a detto Trattato, che alloca all’Italia (Stato della fonte) i poteri impositivi con riferimento alla alienazione di una “partecipazione importante”. Il Protocollo al Trattato definisce come “partecipazione importante” quella detenuta dal “cedente da solo o unitamente a persone associate o collegate” che “danno complessivamente diritto ad almeno il 25% degli utili della società”. Al par. 4.1 (  ne del terzo capoverso) della sentenza n. 27267 si legge che è “elemento in fatto paci  co tra le parti” che la cessione riguardasse una “partecipazione importante” (anche se nel caso in esame la cessione ha riguardato il 24,50% del capitale sociale).

Il giudizio della Cassazione

In sintesi, la Cassazione, in linea con la sentenza 21261, conferma che la:

non applicabilità del regime PEX sulle plusvalenze viola i principi comunitari di divieto di disparità di trattamento previsti dagli artt. 49 TFUE (libertà di stabilimento) e 63 TFUE (Libera circolazione dei capitali); ratio della disciplina introdotta con la riforma del TUIR del 2004, che prevede l’esclusione da imposizione dei dividendi e l’esenzione delle plusvalenze sono le medesime, consistente nella necessità di evitare una doppia imposizione economica del medesimo  flusso reddituale. Con la conseguenza che i principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia nella causa C—540/07 in tema di divieto di disparità di trattamento sui dividendi, possono trovare diretta applicazione anche con riferimento al regime PEX sulle plusvalenze. Al riguardo si ricorda che:

la causa C—540/07 prendeva le mosse dalla procedura di infrazione della Commissione contro l’Italia n. C(2006) 2544 del 28 giugno 2006;

il legislatore italiano era stato costretto a modi care l’art. 27 DPR 600/73 aggiungendo il comma 3-ter,  prevedendo l’applicazione dell’aliquota ridotta del 1,375% (ora divenuta 1,2% a seguito della riduzione dell’IRES al 24%) sui dividendi pagati non solo alle società residenti in Stati membri  della UE e SEE, ma anche alle società̀ ed agli enti che sono inclusi nella c.d. White List; non rileva l’eventuale possibilità per il non residente di recuperare l’imposta versata in Italia con il credito d’imposta in Francia ed eliminare la doppia imposizione con la Convenzione tra Italia e Francia. In quanto la differenza di trattamento derivante dall’applicazione della normativa nazionale non può essere compensata dall’applicazione delle previsioni di una convenzione bilaterale. Poiché, l’eliminazione della disparità di trattamento in ambito UE e SEE (prevista dagli artt. 49 e 63 TUFE), si pone su un piano diverso rispetto a quello della eliminazione della doppia imposizione delle convenzioni (par.4.2.4 della sentenza). In conclusione, la Cassazione impone all’Agenzia di rimborsare alla società francese le imposte versate in eccedenza rispetto al 1,375% dovute ex art. 87 TUIR con il regime PEX.

Una curiosità

Nell’ambito della Cass. 21261/2023, il Pubblico Ministero presso la Cassazione che aveva proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e solo in subordine il rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia. La motivazione (par. 7) affermava che il rinvio era “superfluo” senza l’esistenza di un “dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché l’interpretazione sia auto-evidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte”. Al contrario nella sentenza 27267 in esame, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso presentato dall’Agenzia.

Rimborsi e possibili modifiche normative

Per le plusvalenze realizzate in passato, le due recenti pronunce della Cassazione aprono la via alla presentazione di istanza di rimborso per la maggiore IRES versata in passato (nei limiti dei 48 mesi previsti dall’art. 38 DPR 602/73), quanto meno per le società UE e SEE che avrebbero avuto diritto al regime PEX se fossero state residenti in Italia.

Per il futuro, invece, si deve prendere atto che le attuali norme interne non prevedono la possibilità di applicare direttamente il regime PEX. Tuttavia, è prevedibile che il Legislatore sarà costretto  ad una modifica normativa, così come avvenne sul tema della ritenuta sui dividendi (art. 1 c. 67 L. 244/2007) per fare fronte alla già ricordata procedura di infrazione C(2006) 2544. In tal senso la legge delega per la riforma tributaria (art. 3 L. 111 del 9 agosto 2023) prevede già il potere del Governo di adeguare il diritto tributario nazionale ai principi stabiliti dall’ordinamento dell’Unione europea anche tenendo conto delle decisioni della Corte di Giustizia.

Applicazione concreta della sentenza

I principi a ermati dalle due sentenze 21261 e 27267 sono applicabili  a tutti gli enti e società residenti nella UE e SEE. Tuttavia, in concreto, per le plusvalenze su partecipazioni solo, il trattato con la Francia concede all’Italia i diritti impositivi (con il richiamato art. 8 del Protocollo), mentre gli altri trattati escludono l’imposizione in Italia. Quindi, ad oggi, il tema della non discriminazione non si pone nella UE, al di fuori della Francia. La situazione è destinata a modi carsi quando diventerà efficace in Italia la c.d. Convenzione Multilaterale o MLI. Infatti, l’art. 9 della MLI concede allo Stato della fonte (nel caso all’Italia) il diritto di tassare le plusvalenze realizzate dai non residenti con la cessione di società aventi all’attivo prevalentemente immobili in Italia, rispecchiando la modi ca apportata in sede OCSE all’art. 13 par 4 del Modello di Convenzione OCSE.

Dunque, con l’entrata in vigore della MLI, anche all’interno della UE, aumenteranno le possibilità di applicare i principi non discriminazione espressi dalle sentenze 21261 e 27267, perché  i trattati contro le doppie imposizioni potrebbero non limitare più la tassazione in Italia delle plusvalenze. In tal caso evidentemente converrà subire l’1,2% della PEX, piuttosto che la imposta sostitutiva del 26%. Ciò dipenderà però anche dalle possibili scelte – opt-out – fatte dagli altri Stati membri  UE in sede di ratifica della MLI.

Si ricorda che la legge di Bilancio per il 2023 ha modificato i criteri di territorialità delle plusvalenze (art. 1 c. 96-99 L. 197/2022). L’entrata in vigore della MLI espanderà sia l’ambito  di applicazione di dette modi che, sia la rilevanza concreta dei principi di non discriminazione espressi dalle sentenze in esame. Infine, si sottolinea che le due sentenze 21261 e 27267 si esprimono  solo in merito ai rapporti tra Italia e contribuenti di altri Stati membri. Tuttavia, è noto che il principio della libera circolazione dei capitali può essere invocato anche da contribuenti residenti in Stati terzi, poiché esso vieta “tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”, come ricordato in più occasioni anche recentemente non solo dalla Corte di Giustizia ma anche dalla Suprema Corte. Quindi, è prevedibile che anche società residenti in Stati terzi richiederanno l’applicazione della PEX.

Fonte: Cass. 25 settembre  2023 n. 27267