Persone fisiche: rivoluzionata la nozione di residenza fiscale
Redatto in data 20 Ottobre 2023 da Federico Andreoli
Pubblicato in QuotidianoPIÙ di Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Persone fisiche: rivoluzionata la nozione di residenza fiscale
L’art. 1 della bozza di D.Lgs. delegato in materia di fiscalità internazionale rivoluziona i criteri di collegamento per le persone fisiche. Si prevede la totale sostituzione del c. 2 dell’art. 2 TUIR che detta i tre criteri di collegamento utilizzati da decenni per definire la residenza in Italia delle persone fisiche.
Residenza delle persone fisiche
L’art. 1 del D.Lgs. delegato (il “Decreto”), titolato “Residenza delle persone siche” prevede la totale sostituzione del c. 2 dell’art. 2
TUIR che detta i tre criteri di collegamento per definire la residenza in Italia delle persone siche.
Come è noto, ad oggi sono considerate residenti ai ni scali le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta: sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; ovvero hanno nel territorio dello Stato il domicilio ovvero la residenza. Per espressa previsione del c. 2 i concetti di domicilio e residenza erano assunti nel loro significato civilistico dettato dall’art. 43 c.c.
Modi che del Decreto Delegato Fiscalità internazionale
Le modi che introdotte dal Decreto sono davvero sostanziali e possono essere così riassunte:
viene confermato il riferimento alla maggior parte del periodo d’imposta, ma viene speci cato ex lege che si deve tenere conto anche delle frazioni di giorno;
viene aggiunto il criterio di collegamento della presenza fisica in Italia;
vengono confermati i criteri del domicilio e della residenza;
viene fornita una definizione ex lege del concetto di domicilio dando prevalenza alle relazioni personali e familiari;
la presunzione assoluta della iscrizione alle Anagrafi della Popolazione Residente viene degradata al ruolo di presunzione relativa;
viene confermata la valenza alternativa di quelli che sono divenuti 4 (e non più 3) criteri di collegamento, nel senso è
sufficiente che sia soddisfatto uno dei criteri perché si cristallizzi la residenza scale in Italia.
La nuova definizione di residenza scale imporrà a tutte le persone interessate (e ai consulenti) di rivedere con attenzione la loro posizione.
In tal senso, le innumerevoli sentenze della Cassazione e anche le interpretazioni rese dalle Entrate, dovranno essere esaminate con lenti diverse.
Maggior parte del periodo d’imposta
Il criterio della sussistenza dei criteri di collegamento per la “maggior parte del periodo d’imposta” non è variato dal punto di vista formale ante e post riforma. Tuttavia, il chiarimento della norma per cui il calcolo debba essere fatto tenendo in considerazione le frazioni di giorno, può ampli care di molto il calcolo. Nella Relazione Illustrativa è poi chiarito (anche se non vi era dubbio di ciò) che si deve “tenere conto anche dei periodi non consecutivi”.
Prendiamo ad esempio il caso del conteggio dei giorni per la verifica della presenza fisica in Italia. Ad una prima lettura sembrerebbe che se un soggetto trascorre in Italia il ne settimana arrivando il venerdì sera e partendo il lunedì mattina, il conteggio è di 4 giorni, anche se in realtà si è trattenuto poco più di 48 ore.
Nella Relazione Illustrativa si legge “La prova dell’assenza dei criteri che determinano la residenza nel territorio dello Stato potrà essere fornita dal contribuente dimostrando, rispettivamente, di non avere in Italia la residenza, il domicilio e di non essere stato fisicamente presente nel territorio dello Stato. La prova dell’insussistenza del requisito deve essere riferita a un numero di
giorni complessivi superiore alla maggior parte del periodo d’imposta, considerando anche le frazioni di giorno nel caso della presenza fisica.”
A ben vedere il testo della Relazione è un po’ forviante. Infatti, salvo i casi di presunzione di residenza in Italia per i cittadini
Italiani trasferiti in Stati black list di cui al comma 2-bis del TUIR (comma confermato e non modificato dal Decreto), l’onere della prova circa la durata presenza fisica (ovvero del domicilio o della residenza) in Italia dovrebbe essere a carico dell’Ufficio e non del contribuente. Invece, la Relazione si riferisce subito alla “prova dell’assenza dei criteri”, come se l’onere fosse in prima
istanza a carico del contribuente. La Relazione indica involontariamente quale sia la visuale del Legislatore e di ciò i contribuenti e consulenti dovranno tenere conto.
Presenza fisica in Italia
La presenza fisica in Italia non è un criterio di collegamento a sé stante per la determinazione della residenza fiscale. Evidentemente, la presenza sica ha sempre avuto un ruolo significativo per l’individuazione del domicilio e della residenza, ma prima del Decreto, la presenza non assurgeva a criterio di collegamento, a differenza di quanto avviene in molti Stati esteri.
Il Decreto modifica tale situazione prevedendo che “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che ….. sono ivi presenti” (per la maggior parte del periodo d’imposta). Nella Relazione Illustrativa è chiarito che la norma aggiunge il criterio di collegamento “della presenza fisica nel territorio dello Stato”. L’introduzione di questo nuovo criterio di collegamento avrà enorme rilevanza pratica.
Infatti, è vero che l’assenza di frontiere e di visti/timbri tra paesi Schengen complica in molti casi la dimostrazione della presenza fisica in Italia; tuttavia le ampissime banche dati utilizzate/scrutinate con le nuove tecnologie (ricerche con programmi di Intelligenza Artificiale) potranno consentire all’Ufficio di dimostrare la presenza fisica in Italia in tanti modi (utilizzo di carte di
credito, SIM, ecc. ecc.) nei limiti della tutela della privacy.
Domicilio
Le modifiche apportate dal Decreto alla nozione di domicilio appaiono assai criticabili oltre che di impatto straordinario.
Prima del Decreto, la nozione di domicilio era dettata dal primo comma dell’art. 43 c.c.: il “luogo in cui una persona ha stabilito la
sede principale dei suoi affari e interessi”.
Le numerose sentenze della Cassazione e le interpretazioni rese dalle Entrate, anche in linea con le disposizione del Modello OCSE, hanno identificato la nozione di affari ed interessi con quella di centro degli interessi vitali del contribuente, cioè il luogo con il quale il soggetto ha un più stretto collegamento, sotto l’aspetto degli interessi personali e patrimoniali. Veniva, cioè fatto richiamo a criteri fattuali (di incerta definizione e accertamento) che imponevano all’interprete (in specie al giudice) una valutazione e bilanciamento a tutto tondo tra interessi lavorativi e patrimoniali, da un lato e situazioni familiari e affettive dall’altro lato. In talune occasioni è stata data maggiore rilevanza al primo aspetto (lavoro/patrimonio) in altre occasioni è stata
giudicata decisiva la presenza delle relazioni personali-familiari.
Il Decreto entra a gamba tesa su tale valutazione bipartisan, stabilendo per legge che prevalgono le relazioni personali e familiari. Infatti il c. 2 prescrive: “Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, per domicilio si intende il luogo in cui si sviluppano, in via principale, le relazioni personali e familiari della persona.”
La Relazione Illustrativa chiarisce che è stato sostituito “il criterio civilistico del domicilio con un criterio di natura sostanziale, mutuato dalla prassi internazionale e dalle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, in cui il domicilio è il luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari del contribuente“. Forse l’intenzione del legislatore era quella di adeguarsi alla prassi internazionale però questa non esclude un bilanciamento tra i vari interessi della persona, invece il Decreto, per legge dispone che gli interessi professionali e patrimoniali sono giudicati sempre di rango inferiore rispetto alle
relazioni di carattere familiare. Ciò non sembra una scelta equa e ragionevole in quanto anche le relazioni familiari possono essere travisate o distorte da un interprete esterno alle stesse.
Residenza
Come indicato in precedenza, il c. 2 attualmente in vigore stabilisce espressamente che i due criteri di collegamento del domicilio e della residenza debbono essere intesi “ai sensi del codice civile” (cioè come definiti dall’art. 43 c.c.). Tuttavia, il Decreto espunge dal testo tale espressione. Mentre per il domicilio il Legislatore detta una definizione apposita; nulla è previsto per la residenza. Ci si potrebbe, quindi, chiedere quale sia la nozione di residenza nell’ambito della nuova norma.
Il dubbio viene chiarito dalla Relazione Illustrativa che indica che “resta altresì fermo il criterio civilistico della residenza di cui all’articolo 43 c.c.”. Dunque, vi è continuità rispetto al passato anche senza una norma che impone il riferimento al c.c. La nozione di residenza rimane quella di cui al secondo comma dell’art. 43 c.c. cioè è il “luogo in cui la persona ha la dimora abituale”.
Pertanto è utile sottolineare che l’Agenzia delle Entrate ritiene che gli elementi che definiscono la dimora abituale hanno:
caratteri oggettivi, cioè la stabile permanenza in un determinato luogo;
caratteri soggettivi, cioè la volontà della persona di stabilire in quel luogo la propria dimora con riferimento alle abitudini di
vita e alle relazioni sociali ed anche familiari.
Iscrizione alle anagrafi della popolazione residente
E’ certamente da salutare con favore la modifica introdotta dal nuovo c. 2 dell’art. 2 TUIR ai sensi del quale “Salvo prova contraria, si presumono altresì residenti le persone iscritte per la maggior parte del periodo di imposta nelle anagrafi della popolazione residente”. E’ così disposto che quella che prima era una presunzione assoluta, diviene una presunzione relativa soggetta a prova contraria. In altri termini la persona che si trasferisce all’estero senza iscriversi all’AIRE, potrà dimostrare di non avere la residenza in Italia provando l’inesistenza degli altri elementi di collegamento previsti dalla nuova norma; ciò anche in assenza di una convenzione contro le doppie imposizioni.
Anche in questo caso la Relazione Illustrativa chiarisce bene l’intenzione del Legislatore: “Il criterio di iscrizione all’anagrafe della popolazione residente resta quale criterio di collegamento rilevante ai ni della residenza scale. Tuttavia, la proposta emendativa permette di mitigare, ai fini della residenza, il puro dato formale dell’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente che non abbia un reale riscontro fattuale, modificando la presunzione assoluta in favore di una presunzione relativa che permetta al contribuente di fornire prova contraria rispetto a quanto stabilito ex lege.”
Come è noto, da decenni la dottrina aveva aspramente criticato il valore assoluto della presunzione della mancata iscrizione all’AIRE, anche alla luce del testo delle convenzioni contro le doppie imposizione sottoscritte dall’Italia, che non fanno riferimento al dato formale dell’AIRE e/o della iscrizione alle anagrafi della popolazione residente. Si ricorda al riguardo che una parziale limitazione a tale valore assoluto è reperibile nell’art. 16 c. 5-ter D.Lgs. 147/2015 in tema di regime degli impatriati a seguito delle modi che introdotte dal DL 34/2019.