Il regime PEX per non residenti
Redatto in data 9 Agosto 2023 da Federico Andreoli
Pubblicato in QuotidianoPIÙ di Giuffrè Francis Lefebvre S.p.A.
Il regime PEX è applicabile anche alle società UE
La convincente sentenza della Cassazione n. 21261 del 19 luglio 2023 ha sancito che il regime della partecipation exemption (PEX) previsto dall’art. 87 TUIR è applicabile anche alle società residenti in Stati UE prive di stabile organizzazione in Italia.
I fatti di causa
Nel periodo d’imposta 2013, una società holding residente in Francia (Holding), senza stabile organizzazione in Italia, aveva realizzato una plusvalenza con la cessione di una società per azioni italiana (Target). La partecipazione ceduta era quali cata come “importante” ai sensi dell’art. 8 lett. b) del Protocollo alla Convenzione Italia-Francia.
Ai sensi dell’art. 151 c. 3 TUIR gli enti commerciali non residenti senza stabile organizzazione in Italia determinano il reddito imponibile secondo le disposizioni del Titolo I del TUIR, cioè in base alle categorie di reddito di cui all’art. 6 TUIR. Si ricorda che, invece, il regime PEX è applicabile solo alle società non residenti aventi una stabile organizzazione in Italia (art. 152 TUIR).
In altri termini, con la cessione di una partecipazione sociale, la Holding aveva realizzato “redditi diversi” di cui all’art. 67 TUIR, non potendo godere, né (i) della applicazione del regime PEX previsto dal combinato disposto dell’art. 152 e art. 87 TUIR; né (ii) della non imponibilità prevista dall’art. 13 par. 4 del trattato tra Italia e Francia per e etto dell’art. 8, lett. b) del protocollo a detto trattato, relativo alle partecipazioni “importanti”.
Holding aveva quindi determinato il reddito imponibile ai sensi dell’art. 68 c. 3 TUIR che, nella formulazione vigente ratione temporis, prevedeva l’esenzione da IRES del 50,28% della plusvalenza, mentre a parità di condizioni una società residente avrebbe beneficiato del regime PEX con la “esenzione” da IRES del 95%.
Come ricordato dalla Cassazione, all’epoca dei fatti, per Holding il carico scale italiano sulla plusvalenza era pari al 13,673% della plusvalenza (cioè l’IRES al 27,5% applicata sul 49,72% della plusvalenza), contro l’1,375% per le società residenti (IRES al 27,5% sul 5% della plusvalenza) che beneficiavano della PEX. Mentre, ad oggi, le società non residenti subiscono l’imposta sostitutiva del 26% sul 100% della plusvalenza.
Conseguentemente, Holding aveva versato una IRES molto superiore a quella che avrebbe pagato se fosse stata residente in Italia e aveva quindi presentato istanza di rimborso affermando che tale regime violasse gli artt. 49 e 63 TFUE.
Holding aveva anche affermato che il regime delle plusvalenze oggetto di contestazione fosse del tutto sovrapponibile al caso esaminato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 19.11.2008 nella causa C-540/07 in relazione alla imposizione dei dividendi pagati a società non residenti. La causa prendeva le mosse dalla procedura di infrazione della Commissione contro l’Italia n. C(2006) 2544 del 28.6.2006.
Tali circostanze, come noto, aveva costretto il legislatore italiano a modi care l’art. 27 DPR 600/73 aggiungendo il comma 3-ter, rivolto non solo alle società residenti in Stati membri della UE ma anche alle società̀ ed agli enti che sono inclusi nella c.d. black list prevedendo l’applicazione dell’aliquota ridotta del 1,375% (ora divenuta 1,2% a seguito della riduzione dell’IRES al 24%).
Dopo il silenzio dell’Ufficio, entrambi i giudizi merito erano stati favorevoli alla Holding. L’Ufficio aveva proposto ricorso in Cassazione perentoriamente rigettato dalla Suprema Corte.
Il giudizio della Cassazione
La Corte analizza (severamente) le due argomentazioni proposte dall’AE.
Al par. 6.1. della sentenza la Corte a erma (contrariamente a quanto sostenuto dall’AE) che “la ratio della disciplina che prevede l’esclusione da imposizione dei dividendi e quella della disciplina che prevede l’esenzione delle plusvalenze siano le medesime, e cioè la necessità di evitare una doppia imposizione economica del medesimo flusso reddituale”. Con la conseguenza che i principi affermati dalla sentenza della Corte di giustizia nella causa C—540/07 possono trovare diretta applicazione anche con riferimento al regime PEX.
Al par. 6.1.2 della sentenza la Corte evidenzia come la non applicabilità del regime PEX a soggetti comunitari violi il principio di libertà di stabilimento delle persone e il principio di libera circolazione dei capitali. A quest’ultimo riguardo la Corte ricorda che “lo Stato di residenza della società distributrice deve vigilare affinché, in relazione alla procedura prevista dal suo diritto nazionale allo scopo di prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica, le società azioniste non residenti siano assoggettate ad un trattamento equivalente a quello di cui bene ciano le società azioniste residenti” e che i soggetti residenti nella UE che realizzano “plusvalenze si trovano, di conseguenza, in una situazione analoga a quella dei residenti per quanto riguarda il rischio di doppia imposizione economica”.
Nel successivo e importante par. 6.2. la Corte analizza la seconda tesi proposta nel ricorso. L’AE aveva sostenuto che non sussisterebbe una violazione dei principi comunitari perché Holding avrebbe la possibilità di recuperare l’imposta versata in Italia con un credito di imposta in Francia, eliminando così in fatto il rischio di doppia imposizione in forza dell’art. 24, par. 2 della Convenzione tra Italia e Francia.
La conclusione a cui giunge la sentenza 21261 è particolarmente severa verso le eccezioni proposte dall’AE: “La stipulazione ed il contenuto di una convenzione internazionale contro le doppie imposizioni non comporta quindi necessariamente la compatibilità del sistema tributario nazionale con i principi espressi dal T.F.U.E. in materia di libera circolazione dei capitali, sicché il conseguente obbligo di verifica in materia (e quello, eventualmente conseguente, di ricorrere all’interpretazione adeguatrice della norma pattizia), gravante sul giudice nazionale, non può essere sostanzialmente vanificato attraverso l’applicazione di una presunzione di conformità del regime convenzionale al trattato, che non ha alcun fondamento, né legale, né logico-giuridico.”
La mancata remissione della causa alla Corte di Giustizia
Per esaminare i futuri e etti della sentenza 21261 deve essere sottolineato l’importante ruolo svolto dal Pubblico Ministero presso la Cassazione che aveva proposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea e solo in subordine il rigetto del ricorso.
La Corte analizza la richiesta di rinvio pregiudiziale nell’ultimo paragrafo della sentenza giudicandola “superflua”, sulla base una serie di affermazioni che rendono evidente come la posizione della Cassazione sia “definitiva”. La Corte di fatto a erma che l’applicabilità del regime PEX discende direttamente dalla precedente decisione della Corte di Giustizia in tema di dividendi (Causa C-540/07 del 19.11.2008) ed è quindi già efficace.
In tal senso, la Corte a erma che il rinvio alla Corte di Giustizia non è necessario perché “non v’è diritto … all’automatico rinvio pregiudiziale … quando l’interpretazione della norma e del caso siano evidenti”.
Inoltre viene ricordato che “un organo giurisdizionale di ultima istanza non è tenuto a presentare alla Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale (art. 267 c. 3 TFUE), qualora … la corretta interpretazione della norma di diritto di cui trattasi non lasci spazio a nessun ragionevole dubbio”.
Soprattutto, la sentenza 21261 sottolinea che “il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria, che non ricorre allorché l’interpretazione sia auto-evidente oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte”.
Tali affermazioni rendono evidente che a giudizio della Cassazione la questione non è soggetta ad ulteriori dubbi.
Rimborsi e modifica normativa
Dalla sentenza deriva che le società ed enti commerciali UE hanno senz’altro diritto all’applicazione del regime PEX alle medesime condizioni previste per le società residenti ai sensi dell’art. 87 TUIR. Tuttavia, le norme interne non prevedono tale possibilità. E’ pertanto prevedibile che il Legislatore sarà costretto ad una modi ca normativa, così come avvenne sul tema della ritenuta sui dividendi con l’art. 1 c. 67 L. 244/2007 per fare fronte alla già ricordata procedura di infrazione C(2006) 2544 del 28.6.2006 (poi sfociata della sentenza della Corte di Giustizia causa C-540/07).
In attesa di veri care se e come il Legislatore modificherà la normativa interna, i soggetti UE che soddisfano le condizioni per l’applicazione della PEX possono presentare istanza di rimborso per la maggiore IRES eventualmente versata in passato. Ciò, però, nei limiti temporali (48 mesi) previsti dall’art. 38 DPR 602/73.
I casi all’interno della UE in cui trova applicazione la sentenza
I principi affermati dalla sentenza sono molto ampi e, in linea di principio, applicabili a tutti gli enti e società residenti nella UE che, a pari condizioni, avrebbero diritto al regime PEX se: (i) fossero residenti in Italia ovvero (ii) se avessero in Italia una stabile organizzazione (ex art. 152 TUIR).
Tuttavia, in concreto, se si guarda solo alla UE, almeno sino ad oggi (cioè prima dell’entrata in vigore della MLI), la sentenza esplicherà i suoi e etti in casi molto limitati e di fatto solo con la Francia.
Si devono infatti ricordare i principi di territorialità applicabili per le plusvalenze realizzate dai non residenti (ante modifiche apportate dall’art. 1 c. 96-99 L. 197/2022).
L’art. 23 c.1 lett. f ) TUIR dispone che ai ni dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi diversi derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società residenti, con esclusione delle cessioni di partecipazioni non qualificate (ex art. 67 c. 1 lett. c-bis TUIR) in società residenti negoziate in mercati regolamentati.
Inoltre l’art. 5 c. 5 D.lgs. 461/97 che (in combinato con art. 6 c. 1 D.Lgs. 239/96) esclude da tassazione le plusvalenze su partecipazioni non qualificate realizzate da soggetti residenti in Stati e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni (c.d. White List).
Sul lato internazionale, tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte dall’Italia con Stati membri UE, tranne quella con la Francia, prevedono la tassazione esclusiva solo nello Stato di residenza del venditore, cioè un regime più favorevole della PEX che prevede l’esenzione del 95%.
Pertanto di fatto, ad oggi, la non discriminazione riguarda solo la Francia, perché all’interno della UE, solo il trattato con la Francia concede all’Italia diritti impositivi su alcune tipologie di plusvalenze; cioè solo quelle realizzate dai residenti francesi di cui all’art. 8 lett. b del Protocollo al trattato, che, ponendo una eccezione all’art. 13, par. 4, del medesimo trattato (che esclude i diritti impositivi italiani), stabilisce che l’Italia ha diritto di tassare le plusvalenze realizzate con la cessione di una partecipazione “importante” in una società residente in Italia.
Una partecipazione è definita “importante” se il cedente da solo o con persone associate o collegate, dispone direttamente o indirettamente di azioni o quote che danno complessivamente diritto almeno al 25% degli utili della società. E’ però necessario ricordare che l’art. 8 par. a) del Protocollo permette la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di società “immobiliari”.
MLI e Stati terzi
La situazione descritta in precedenza è destinata a modi carsi sensibilmente quando sarà ratificata e diventerà efficace in Italia la c.d. Convenzione Multilaterale o MLI. Infatti, l’art. 9 della MLI concede allo Stato della fonte (nel caso all’Italia) il diritto di tassare le plusvalenze realizzate dai non residenti con la cessione di società aventi all’attivo prevalentemente immobili in Italia, rispecchiando la modifica apportata in sede OCSE all’art. 13 par 4 del Modello di Convenzione OCSE.
Dunque, con l’entrata in vigore della MLI aumenteranno le possibilità di applicare i principi non discriminazione espressi dalla sentenza 21261, perché i trattati contro le doppie imposizioni potrebbero non limitare più la tassazione in Italia delle plusvalenze. Ciò dipenderà però anche dalle possibili scelte – opt-out – fatte dagli altri Stati membri UE in sede di rati ca della MLI.
In altri termini, quando la MLI attribuirà i diritti impositivi all’Italia, il venditore residente UE potrà applicare il regime PEX, invece di subire l’imposizione sostitutiva del 26%. Con l’entrata in vigore della MLI avranno maggiore rilevanza pratica le modi che introdotte dall’art. 1 c. 96-99 L. 197/2022.
Si deve però sottolineare che la MLI riguarda le plusvalenze realizzate con la cessione di società -lato sensu- immobiliari, cioè società che potrebbero non bene ciare del regime PEX. In tali casi l’applicazione di una tassazione “piena” non sarebbe discriminatoria per i soggetti comunitari, perché a parità di condizioni neppure il soggetto residente avrebbe diritto all’applicazione dell’esenzione del 95%. Vedremo quindi se e in che termini, il Legislatore modi cherà la normativa esistente.
Inoltre, ci si dovrà interrogare sulla valenza dei principi espressi dalla Cassazione con riferimento ai soggetti residenti in Paesi terzi senza stabile organizzazione in Italia.
La sentenza 21261 in esame si esprime espressamente sull’applicazione dell’art. 63 TFUE nei rapporti tra contribuenti di altri Stati membri. Tuttavia, è noto che il principio della libera circolazione dei capitali può essere invocato anche da contribuenti residenti in Stati terzi poiché l’art. 63 TFUE vieta “tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi”, come ricordato in più occasioni anche recentemente non solo dalla Corte di Giustizia ma anche dalla Suprema Corte.
Fonte: Cass. 19 luglio 2023 n. 21261